"Stamattina mentre scendevo dall'autobus tutto
rigido e contratto per sembrare il meno handicappato possibile, ho pensato agli
occhi di mia figlia e ho provato una distensione totale. Allora ho danzato.
Quanto contano i sorrisi di scherno rispetto agli occhi luminosi che mi accolgono
incondizionatamente quando rientro a casa?
(...) Distaccarmi dal giudizio altrui necessita
senz'altro di parecchia audacia. Ho sorriso vedendomi danzare sul
marciapiede. Passo da un estremo all’altro: dalla sottomissione totale nei
confronti degli altri a una artificiosa indifferenza, fin quasi alla
provocazione! Mi accorgo che il riso mi riconcilia con l’esistenza, mi mette in
pace, fa la pace. Testimonia una riconciliazione con i nostri limiti, incarna
la dolcezza e la tenerezza. Esige una sincerità, una freschezza una trasparenza
e al tempo stesso una piccola presa di distanza rispetto al personaggio che
molte volte recitiamo.
Saprò ridere delle mie collere e delle mie
fascinazioni?
Per non cadere in guerra contro se stessi è richiesta
una dolcezza benevola. Ridere conduce a questo generoso distacco. Penso che la
meditazione potrebbe espandersi in un immenso scoppio di risa: “Questa passione
non esaurisce tutto me stesso”, “ che buffo questo ometto, con la sua stupida
gelosia!”
Faccio una questione troppo grande di me. Recito una
parte. Il riso mi libera un po’, in ogni caso mi installa nel presente.
Quando osservo i miei bambini che giocano, scopro i
miei veri maestri. Sono completamente nel loro gioco.(…) Quando mio figlio
gioca con il camion, gioca con il camion; quando piange, piange, completamente
immerso nella tristezza che poi rapidamente passa. Ora capisco l’invito dello
Zen: shikan, “nient’altro che”.
Nient’altro che bere, nient’altro che scrivere,
nient’altro che lavarsi i denti (Per il buddhismo Zen, non c’è azione che
sfugga al precetto dello shikan), nient’altro che provare i miei scoppi
passionali.
Lo so, tuttavia quando mi lavo i denti controllo le
mail, talvolta rispondo anche al telefono; quando festeggio un compleanno penso
al tempo che passa e rendo triste la serata. Non mi immergo mai nell’istante,
non mi offro, ma faccio sempre commenti. Per non parlare di quelle giornate
vissute con il pilota automatico, del tutto a lato del presente. I bimbi mi
insegneranno a giocare? Come loro vorrei consacrarmi totalmente al gesto che si
compie nell’istante. “
(Alexander Jollien)
Quando Alexander dice "cercando di sembrare il
meno handicappato possibile", parla anche ad ognuno di noi, quando
cerchiamo di essere meno noi stessi possibile, meno Fabio meno Paolo meno
Sonia, quando cerchiamo di nascondere la nostra natura, e l'imbarazzo che crea
la nostra nudità, il nostro essere scoperti al mondo, imperfetti, talvolta
impacciati, prossimi all'errore alla caduta e alla confusione.
Ma allo stesso tempo è un tentativo di celare la
nostra bellezza, quella bellezza intima che risiede in un cuore messo a nudo
non mascherato, nella nostra gentilezza primordiale; l'handicap di Alex è anche
il suo cammino spirituale nel momento in cui è pienamente compreso e accettato,
e possiede una sua intrinseca bellezza.
Questo passo ci richiama a noi stessi e rimprovera a
noi stessi ogni tentativo malcelato di velare in qualche modo la nostra
fragilità, ma sopratutto di mettere a tacere la nostra natura più
autentica, oppure ci mostra l'erroneo confonderla con le forme temporanee che
essa assume, quando scambiamo noi stessi per un umore, un
aspetto fisico, un carattere, una tensione nel corpo, un tratto psichico.
Essere nient'altro che se stessi è la semplicità del cammino, e anche la chiave
per trascendere se stessi.
Che bello!!!
RispondiEliminaDistaccarmi dal giudizio altrui (o da quello che la mia mente ritiene tale), e anche dal mio giudizio verso me stessa... difficile... arduo: mi piace la proposta di farci su una risata.
Felicita'
Elisa
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